Fiume Tartaro
Il Tartaro-Canalbianco-Po di Levante sbocca nel mare Adriatico fra l’Adige e il Po.
È uno dei pochi fiumi italiani che nascono in pianura da risorgive, assieme ai suoi affluenti. Il tratto iniziale, della lunghezza 52 km, è naturale e prende il nome di “Tartaro”. Esso è connesso, a monte, attraverso il nodo idraulico di Governolo, al sistema dei laghi di Mantova. Si estende tra le sorgenti e la conca di Torretta Veneta.
Da tale località entra in provincia di Rovigo che attraversa longitudinalmente per la sua intera lunghezza. Il tratto intermedio è costituito da un canale artificiale che prende il nome di “Canalbianco” o canal “Bianco” fino alla conca di Volta Grimana ed è lungo 78 km.
Il tratto finale è stato ricavato da un antico ramo deltizio del fiume Po e prende infatti il nome di “Po di Levante”.
Esso ha una lunghezza fino alla foce di 17 km. La lunghezza totale del fiume dalle sorgenti al mare è di 147 km.
Per ragioni storiche, qualcuno (in particolare la popolazione locale) chiama ancora “Tartaro” anche il tratto che va da Torretta a Canda, della lunghezza di 18 km, oggetto della sistemazione più recente.
Il fiume è navigabile per 113 km, dalla confluenza del canale Fissero, con il quale costituisce l’idrovia Fissero-Tartaro-Canalbianco o “Mantova-mare”, fino alla foce in Adriatico. Si collega inoltre alla linea navigabile “Po-Brondolo” che dalla laguna di Chioggia permette di raggiungere Venezia. Sbocca nel mare Adriatico in località Porto Levante del comune di Porto Viro, all’altezza dell’isola di Albarella.
Può essere definito il nuovo sbocco a mare commerciale e diportistico della provincia di Rovigo; sul Po di Levante sorgerà nei prossimi anni il porto di Ca’ Cappello.
Fonte: wikipedia
Dal sito Proloco Basso Veronese
La leggenda del Tartaro
Termine che, nella mitologia classica, indica una località ultraterrena, generalmente rappresentata come una pianura squallida e buia cinta da invalicabili mura e porte di ferro con soglie di bronzo (Iliade, di Omero,8, 17-20), dove stanno i Titani sconfitti da Zeus.
Nel Tartaro venivano collocati anche alcuni grandi colpevoli del mito, quali le Danaidi, Sisifo, ecc.
Su di esso poggerebbero le radici della terra, del mare e del cielo.
Secondo il Graves (I Miti Greci, Ediz. Longanesi, 1983)
“Quando le ombre scendono al Tartaro, il cui ingresso principale si trova in un bosco di pioppi bianchi, presso il fiume Oceano, ciascuna di esse è munita di una moneta, che i parenti le hanno posta sotto la lingua.
Possono così pagare Caronte, il tristo nocchiero che guida la barca al di là dello Stige. Questo lugubre fiume delimita il Tartaro. ad occidente, ed ha come tributari l’Acheronte, il Flegetonte, il Cocito, l’Averno ed il Lete. Le ombre che non hanno moneta devono attendere in eterno sulla riva, a meno che non riescano a fuggire ad Ermete, la loro guida e custode, introducendosi nel Tartaro. da un ingresso secondario, come Tenaro, in Laconia, od Aorno, nella Tesprozia. Un cane con tre teste, chiamato Cerbero, monta la guardia sulla sponda opposta dello Stige, pronto a divorare i viventi che osassero introdursi laggiù, oppure le ombre che tentassero di fuggire”.